olocausto animale

Quando la disobbedienza diventa un atto di civiltà, facciamoci allora sovversivi: contro ignoranza, indifferenza, crudeltà.

“Sopravvissuti ad Auschwitz contro l’Olocausto Animale
Ci sono stati grandi filosofi e scrittori che hanno paragonato l’olocausto umano, come quello ebreo (ma non solo) all’olocausto animale. L’analogia oscena (definizione attuale di Enrico Donaggio in un suo saggio) è un parallelismo forte, violento ma assolutamente reale.

Consiste nell’accostare i moderni allevamenti industriali ai lager, l’opera di sterminio animale nella contemporaneità a quella perpetrata dalla Germania hitleriana.
È un parallelismo scottante, che diversi autori hanno però trattato con attenzione e senza peli sulla lingua , da Peter Singer, Coetzee, Charles Patterson, Primo Levi, Edgar Kupfer.

Steward David, sopravvissuto all’Olocausto nazista, attivista per i diritti degli animali scrisse:

“Da ebreo cristiano cresciuto in una quartiere pieno di sopravvissuti dell’Olocausto e di gente che ha perduto i suoi cari, non penso di banalizzare il loro dolore. Ma non sono forse i macelli, gli allevamenti intensivi e i laboratori di ricerca, così accuratamente nascosti alla nostra vista, le Auschwitz di oggi? Dolore, violenza e sofferenza sono più accettabili solo perché inflitti ad animali innocenti che a persone innocenti?”

Qualche anno fa anche Piergiorgio Odifreddi, ricordando John Coetzee, ha scritto un articolo intitolato LA SOFFERENZA DEGLI ANIMALI su La Repubblica, parlando di questo scottante parallelismo, nonostante lui non sia neanche vegetariano.

Gli stessi reduci dell’Olocausto, quindi, persone che l’hanno vissuto sulla loro pelle o ne hanno sperimentato l’orrore, hanno posto all’attenzione del pubblico questa analogia Ma non furono i primi. Gli stessi nazisti hanno posto l’analogia ebreo/animale, ebreo/topo, ebreo/maiale, per sminuire l’umanità, per minimizzare l’atrocità delle uccisioni e delle torture. Il ricorso a similitudini animali è una costante di tutti i resoconti sulle deportazioni, sia da parte degli aguzzini che da parte delle vittime.

Sentirsi “offesi” per questo paragone è solo l’ennesima dimostrazione di quanto le persone ignorino questi temi, in primo luogo, e di come le persone credano ancora ciecamente in una filosofia specista e antropocentrica, tanto da non voler assolutamente paragonare la sofferenza animale a quella umana! Come se ci fosse una supremazia anche nella sofferenza.

E come dimenticare la bellissima lettera di Edgar Kupfer- Koberwitz, vegano, che nel campo di concentramento di Dachau passò tra crudeltà di ogni genere, mentre la morte ghermiva i prigionieri del campo giorno dopo giorno, lui capì la sofferenza della prigionia e decise che non l’avrebbe imposta a nessuno.
Nel lager riuscì a scrivere di nascosto alcuni appunti, sotto forma di lettere a un amico, pubblicati al termine della guerra col titolo “Animal brothers”. In una di queste spiega così il motivo per il quale divenne vegan:

“Ascolta: io rifiuto di mangiare animali perché non posso nutrirmi con la sofferenza e con la morte di altre creature. Rifiuto di farlo perché ho sofferto tanto dolorosamente che le sofferenze degli altri mi riportano alle mie stesse sofferenze. Io penso che gli uomini saranno uccisi e torturati fino a quando gli animali saranno uccisi e torturati e che fino allora ci saranno guerre, poiché l’addestramento e il perfezionamento dell’uccidere deve essere fatto moralmente e tecnicamente su esseri piccoli.”

Questo invece è il testo intero di una sua bellissima lettera:

Caro amico,
mi chiedi perché non mangio carne e ti domandi per quale ragione mi comporto così.

Forse pensi che ho fatto un voto o una penitenza che mi priva di tutti i piaceri gloriosi del mangiar carne. Pensi a bistecche gustose, pesci saporiti, prosciutti profumati, salse e mille altre meraviglie che deliziano gli umani palati; certamente ricordi la delicatezza del pollo arrostito.
Vedi, io rifiuto tutti questi piaceri e tu pensi che solamente una penitenza, o un voto solenne, o un grande sacrificio possa indurmi a negare questo modo di godere la vita e che mi costringa ad una rinuncia.

Sei sorpreso, chiedi:– Ma perché e per quale motivo?
Te lo chiedi con intensa curiosità e pensi di poter indovinare la risposta.

Ma se io ora cerco di spiegarti la vera ragione in una frase concisa, tu rimarrai nuovamente sorpreso vedendo quanto sei lontano dal vero motivo.
Ascolta: io rifiuto di mangiare animali perché non posso nutrirmi con la sofferenza e con la morte di altre creature.
Rifiuto di farlo perché ho sofferto tanto dolorosamente che le sofferenze degli altri mi riportano alle mie stesse sofferenze.
So che cos’è la felicità e so che cos’è la persecuzione. Se nessuno mi perseguita, perché dovrei perseguitare altri esseri o far si che vengano perseguitati?

So che cos’è la libertà e so che cos’è la prigionia. So che cos’è la protezione e che cos’è la sofferenza. So che cos’è il rispetto e so che cos’è uccidere. Se nessuno mi fa del male, perché dovrei fare del male ad altre creature o permettere che facciano loro del male?

Se nessuno vuole uccidermi, perché dovrei uccidere altre creature o permettere che vengano ferite o uccise per il mio piacere o per convenienza?
Non è naturale che io non infligga ad altre creature ciò che io spero non venga inflitto a me? Non sarebbe estremamente ingiusto fare questo per il motivo di un piacere fisico a spese della sofferenza altrui e dell’altrui morte?
Queste creature sono più piccole e più indifese di me, ma puoi tu immaginare un uomo ragionevole con nobili sentimenti che volesse basare su questa sofferenza la rivendicazione o il diritto di abusare del più debole e del più piccolo? Non credi che sia proprio il dovere del più grande, del più forte, del superiore di proteggere le creature più deboli invece di perseguitarle e di ucciderle?
Noblesse oblige. Ed io voglio comportarmi nobilmente.

Ricordo l’epoca orribile dell’inquisizione e mi dispiace dire che il tempo dei tribunali per gli eretici non è passato, che giorno per giorno gli uomini cucinano in acque bollenti altre creature che sono state date impotenti nelle mani dei loro carnefici.

Sono inorridito dall’idea che uomini simili siano civili, non rudi barbari, non dei primitivi. Ma nonostante tutto essi sono soltanto primitivamente civilizzati, primitivamente adagiati nel loro ambiente culturale.
Sproloquiando, sorridendo, proponendo grandi idee e facendo bei discorsi, l’europeo medio commette ogni sorta di crudeltà e non perché sia costretto, ma perché vuole fare ciò. Non perché manchi della facoltà di riflettere e di rendersi conto delle orribili cose che sta facendo. Oh no! Soltanto non vuole vedere i fatti, altrimenti ne sarebbe infastidito e disturbato nei suoi piaceri.

So che la gente considera certi atti connessi al macellare come inevitabili. Ma c’è realmente questa necessità? La tesi può essere contestata. Forse esiste un genere di necessità per le persone che non hanno sviluppato ancora una piena e conscia personalità. Io non faccio loro delle prediche, scrivo a te questa lettera, ad un individuo responsabile che controlla razionalmente i suoi impulsi, che si sente conscio – internamente ed esteriormente – dei suoi atti, che sa che la nostra Corte Suprema è nella nostra coscienza e che non vi è ricorso in appello.

E’ necessario che un uomo responsabile sia indotto a macellare?
In caso affermativo, ogni individuo dovrebbe avere il coraggio di farlo con le sue stesse mani. È un genere miserabile di codardia quello di pagare altra gente per fare questo lavoro macchiato di sangue dal quale l’uomo normale si ritrae inorridito e sgomento. Questa gente é pagata per questo lavoro e gli altri acquistano da loro le parti desiderate dell’animale ucciso possibilmente preparato in modo da non ricordare l’animale, il fatto che è stato ucciso.

Io penso che gli uomini saranno uccisi e torturati fino a quando gli animali saranno uccisi e torturati e che fino allora ci saranno guerre, poiché l’addestramento e il perfezionamento dell’uccidere deve essere fatto moralmente e tecnicamente su esseri piccoli. Penso che ci saranno prigioni finché gli animali saranno tenuti in gabbia. Poiché per tenere in gabbia i prigionieri bisogna addestrarsi e perfezionarsi moralmente e tecnicamente su piccoli esseri.

Non vedo alcuna ragione di sentirci oltraggiati per i grandi e per i piccoli atti di violenza e crudeltà commessi dagli altri.
Ma penso che sia arrivato il momento di sentirci oltraggiati dai grandi e piccoli atti di violenza e crudeltà che noi stessi commettiamo. Ed essendo molto più facile vincere le piccole battaglie, penso che dovremmo cercare di spezzare prima i nostri legami con le piccole violenze e crudeltà per superarle una volta per sempre.
Poi verrà il giorno che sarà facile per noi combattere anche le crudeltà più grandi.

Ma noi tutti siamo addormentati in abitudini e attitudini ereditate, che ci aiutano ad ingoiare le nostre crudeltà senza sentirne l’amaro. Non ho alcuna intenzione di accusare persone o situazioni. Ma penso che sia mio dovere stimolare la mia coscienza nelle piccole cose, migliorare me stesso ed essere meno egoista, per essere poi in grado di agire in coerenza nei problemi più importanti.
Il punto è questo: io voglio vivere in un mondo migliore dove una più alta legge conceda più felicità a tutti.”

Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l’abitudine ai furgoni dove le bestie agonizzano senza cibo e senz’acqua dirette al macello.

Gli animali hanno propri diritti e dignità come te stesso.
È un ammonimento che suona quasi sovversivo.
Facciamoci allora sovversivi: contro ignoranza, indifferenza, crudeltà.

“Quanto a lungo, Dio, guarderai a questo tuo inferno e resterai in silenzio? Quale bisogno hai Tu di quest’oceano di sangue e di carne, il cui fetore invade oramai tutto l’Universo? Hai creato questo macello sconfinato solamente per mostrarci  la tua potenza e la tua saggezza? E noi dovremmo amarti con i nostri cuori e le nostre anime per questo? Si sono convinti che l’uomo, il peggior trasgressore di tutte le specie, sia il vertice della creazione: tutti gli altri esseri viventi sono stati creati unicamente per procurargli cibo e pellame, per essere torturati e sterminati. Nei loro confronti tutti sono nazisti; per gli animali Treblinka dura in ETERNO”

Sopravvissuto all’Olocausto, l’ebreo Premio Nobel per la letteratura nel 1978 Isaac Bashevis Singer per primo ha denunciato la sconcertante somiglianza fra il trattamento degli ebrei durante l’Olocausto e quello degli animali allevati a scopo alimentare, notando che le tecniche di soppressione di massa usate per gli animali erano già state impiegate sugli esseri umani.

Dopo avere realizzato che tutte le oppressioni appartengono a un’unica pianta, cessò di mangiare carne, essendogli chiaro che la giustizia e la pietà non ammettono – e non devono ammettere – limiti, e che non si può parlare di pace con la bocca piena delle vittime della violenza.

Come le vittime dell’Olocausto, gli animali sono strappati alle loro famiglie, trasportati sotto le peggiori intemperie, costretti a vivere dentro recinti angusti e poi incolonnati verso la morte. E che lo si voglia ammettere oppure no, tutti gli animali condividono l’un l’altro la capacità di provare dolore, paura e solitudine.

Ciò che forse più colpisce dell’Olocausto è che mentre milioni di esseri umani venivano coperti di sputi, insultati, strappati alla famiglia, picchiati e condotti alla morte, tanti altri milioni stavano a guardare, evitando però di vedere l’ingiustizia da cui essi non erano colpiti.

Essi prendevano le distanze dalle vittime e acconsentivano a che milioni di persone venissero torturate e uccise, dicendo a se stessi : «Sono solo ebrei!». Oggi, a sessant’anni di distanza, l’attitudine e i sistemi dell’Olocausto restano gli stessi; sono cambiate solo le vittime.

Coloro che mangiano carne prendono le distanze dalle vittime degli allevamenti industriali per trovare una giustificazione al sostegno che essi dànno a un’industria violenta e sanguinaria. Se ne stanno silenziosi e apatici, e conducono la vita di ogni giorno rivolgendo uno sguardo cieco agli orrori che essi potrebbero contribuire a far cessare, giustificandosi col dire a se stessi: «Sono solo animali!».”

N. Michele ti